Ritorniamo a Notodden in Norvegia dopo qualche anno, e ancora abbiamo negli occhi la prima esperienza della Blues Convention del 2009 e il festival del 2011. L’occasione stavolta ci è data da due artisti particolari, entrambi poco blues, almeno in senso canonico, ovvero Robert Plant e George Thorogood. Il primo, in tour con i Sensational Space Shifters, lo abbiamo visto già lo scorso anno a Padova, in una serata memorabile grazie anche all’apertura affidata ai North Mississippi Allstars, da sempre nostri beniamini. Il secondo invece lo attendevamo in Italia qualche anno fa, ma la scarsa prevendita fece cancellare il concerto già fissato!

Foto di Helge Nickel

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La Norvegia è natura a 360 gradi, colline, boschi e fiumi, un ambiente montano senza le cime a cui siamo abituati delle alpi o dolomiti, ma con l’aggiunta dei fiordi, per cui percorrerla questa volta in bus è quasi una poesia. Il tempo meteorologico purtroppo non è dei migliori, con alternanza di sole e pioggia, ma anche se piove ma non si può dire governo ladro, almeno non qui dove, come ci spiega una coppia russa ormai trasferitasi qui a vivere da anni, molti dei servizi principali sono gratis, e lo stipendio anche dei manager più richiesti non raggiunge cifre astronomiche ma ha un limite stabilito dalla legge, ed è solo due o tre volte quello di un normalissimo dipendente. Infreddoliti dopo aver preso possesso della stanza ci dirigiamo al festival, lo storico Notodden Blues Festival, probabilmente il più importante d’Europa, almeno a giudicare dai nomi, e anche uno dei pochi ad avere un sito e dei volantini interamente in norvegese, con tutto quello che consegue per la nostra imperizia totale con la lingua locale.

Foto di Helge Nickel

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Arriviamo  mentre si esibisce Vidar Busk & His True Believers. Per la delizia degli occhi e anche delle orecchie assistiamo per la prima volta all’esibizione di Dana Fuchs, che, alla Janis Joplin si scatena da pezzi rock blues a brani melodiosi, parlando d’amore e ballando sul palco mentre continua ad agitare i lunghi capelli ricci. Un trionfo brani come “Keep On Walkin” o “Turn On Your Love Light”. Una energia inesauribile alimenta Dana, che non smette di ballare e saltare sul palco, o, dopo il concerto, di abbracciare i fan e firmare autografi. A fine serata ci gustiamo solo un paio di brani di Mike Zito con Samantha Fish and The Wheel, band in cui suona l’amico Jimmy Carpenteer, che rivedremo però il sabato sera nella sede del Blues Museum, per cedere il passo alla stanchezza. L’indomani fortunatamente il sole ci regala una bellissima visione del fiordo di Notodden, e passeggiando attraverso l’immenso Blues Camping allestito nella ex zona industriale, magari poco azzeccato, arriviamo in paese per assistere alla cerimonia della Blues Walk Of Fame per Pinetop Perkins e Koko Taylor con Shemekia Copeland, Steve Van Zandt, Bob Margolin e  Pat Morgan. Il pomeriggio solare ci fa venir voglia di passeggiare lungo il fiordo alla scoperta della natura, mai come qui rigogliosa, e godere dell’atmosfera calda grazie alla presenza di alberi e case di legno ovunque.

Foto di Helge Nickel

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Lo show pomeridiano inizia, almeno per noi, con Mud Morganfield, uno dei figli del leggendario Muddy Waters, ma la sua esibzione, che lo vede solo al canto ed accompagnato da una band di tutto rispetto, purtroppo ricalca troppo la figura del padre, quasi fosse una specie di recita. Tra brani storici come  “Got My Mojo Working”  e “40 Days 40 Nights”, anche se la sua voce è davvero molto simile a quella paterna, lo spirito delle acque fangose non viene rievocato. E’ il momento tanto atteso, che ci vede in prima fila modello teenager, forse perché circondati da fan la cui età era raramente inferiore alla nostra, per la voce dei Led Zeppelin. Robert Plant incontrato poco prima per strada e persino al ristorante, fa suo il palco, incitando da subito il pubblico a partecipare al concerto, sia per poter godere del clima live, ma anche sospettiamo per sostenere una voce ormai non più come negli anni settanta.

Foto di Helge Nickel

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La sua ugola comunque non delude, ed il leone dalla lunga criniera si lancia spesso in urla e vocalizzi al limite delle sue potenzialità, segno che a divertirsi non siamo solo noi!  Siamo tutti rapiti dal suo magnetismo, sia che canti “How Many More Years” o pezzi nuovi come “Rainbow”, tutti giocati tra la psichedelica tipica dei Sensational Space Shifters e i ritmi africani portati da Juldeh Camara, con i suoi strumenti quali il ritti. E il kologo Un tuffo nel passato pezzi come “Baby I’m Gonna Leave You” o “Dazed & Confused”, anche se Plant ed i suoi sembrano aspettarsi che tutto i pubblico canti i pezzi dei Led Zeppelin a squarciagola ma in Norvegia non succede… L’arcinota “Whole Lotta Love” che nessuno si lascia sfuggire diventa un medley con “Who Do You Love” centrale, per il recupero finale del ritmo originale, mentre non mancano “Black Dog” e “The Lemon Song”. Plant dedica un pezzo a Pops Staples, ovvero la bellissima “Jesus Make Un My Dying Bed” e durante tutta l’esibizione il nostro Robert non smette di parlare del Mississippi, memore forse non solo selle origini del blues ma anche della sua apparizione a Clarksdale al Sunflower Blues festival tre anni fa, ed è quindi un piacere sentirgli nominare personaggi come Fred Mc Dowell, Charlie Patton, o Howlin Wolf. E non poteva mancare l’incredibile e aggressiva versione di “Spoonful”.

Foto di Helge Nickel

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Si chiude così con “Rock And Roll” un concerto che da solo valeva il viaggio! Shemekia Copeland davvero cresciuta molto negli ultimi anni, dimostra non solo il talento che già la contraddistingueva, ma anche una energia e potenza solo in parte mascherate dalla sua figura dolce e serena. Voce potente e presenza di palco incredibile è accompagnata da un gruppo di “vecchietti” dalla professionalità unica. Sforna pezzi come “Dirty Water”, “Married To The Blues” “I’m Not Gonna be your Tatoo Woman”, ed il rifacimento di un brano del padre Johnny Clyde, “Devil’s Hand” riarrangiato con ritmi dal sapore afro, che è presente nel suo nuovo disco in uscita a settembre. Pura adrenalina e blues anche in lenti come “Married To The Blues”! Il sabato inizia con una band di cui abbiamo già parlato sulle pagine de Il Blues, ovvero JJ Grey & Mofro, una iniezione di  R&B e Soul, con quel pizzico di sound in stile New Orleans. Nonostante ci abbiano parlato bene dei loro dischi, dal vivo non riescono ad attrarre la nostra attenzione emotiva, ma forse solo perché i nostri pensieri sono tutti per l’headliner.

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E’ il momento della seconda star del festival, ovvero George Thorogood, che ancora ricordiamo su audiocassette quando eravamo piccolo. Il pirata a capo della sua ciurma di distruttori arriva poco prima dello show scortato dal servizio d’ordine e non si fa pregare per scatenare tutta la sua energia. 65 anni di rock & roll non hanno piegato la sua voglia di divertirsi, e nei 90 minuti dello show George suona canta e balla sul palco come un adolescente. Scorrono tutti i brani che lo hanno reso famoso, da” Who Do You Love” a  “Move It On Over”, dalla bellissima “One Bourbon One Scotch One Beer” con tanto di assolo chitarristico di Thorogood accompagnato dal solo batterista. Bellissime “Help Me” e “Night Time”, con george che scherza sul doppio senso sessuale della parola rock & roll, dicendo che se non fosse per quello non saremmo qui, mentre si propone ripetutamente come consolatore di donne insoddisfatte passando da “Born Lover” a “I Drink Alone”.

Foto di Helge Nickel

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Il pubblico in visibilio si lascia trascinare in questa festa dai sapori rock blues a tinte country, come il brano dedicato a Johnny Cash  “Cocaine Blues” e non può mancare “Bad To The Bone” ed il bis finale con “Madison Blues”. Tra le chicce centrali la sempre divertente “Haircut”, su cui George scherza introducendola come un pezzo finalmente serio. Ancora scossi lo vediamo accompagnato dalla sua guardia del corpo, madido di sudore e avvolto in una enorme coperta che raffigura un serpente a sonagli, il simbolo dei Destroyers. Per finire in bellezza ci spostiamo al Blues Senter per gustarci un concerto quasi intimo di Mike Zito & Samanta Fish, accompagnati sul finale dal tastierista di JJ Grey. La dimensione intima del concerto permette di assaporare fino in fondo la bravura di Mike e del gruppo, e la piacevole contrapposizione con Samantha.

Foto di Helge Nickel

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Il gruppo con ottima scelta di brani intrattiene il pubblico con un susseguirsi di ritmo e carica blues, da “Don’t Break A Leg” a “Rainbow Bridge”, per non dimenticare la particolare “Subtraction Blues” dedicata alla moglie, insegnante di matematica, e ci gustiamo anche Samantha in n paio di pezzi con la cigar box, mentre “Wholly Bolly” diventa “Born On The Bayou” nel lunghissimo medley finale, alla faccia dei 5 minuti che gli erano stati comunicati dall’organizzazione. Una festa a tutti gli effetti! Il festival finisce, la città si spegne e ritorna ai suoi ritmi lavorativi, gli umori nordici fanno rientrare quella voglia di evasione e follia fino alla prossima estate. E mentre ci dirigiamo verso l’aeroporto di Oslo una pioggia sottile e insistente ritorna a bagnare tutto..

 

 

Davide Grandi

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