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Johnny Iguana: avventure di un pianista eclettico

di Matteo Bossi

“Sono stato a Roma, Firenze, Torino, ma non a Milano…e poi nella parte italiana della Svizzera. L’Italia e la Spagna sono due paesi in cui vorrei andare di più. Mio figlio ha diciassette anni e lo scorso anno con mia moglie lo abbiamo portato a Roma durante lo spring break, è stato qualcosa che non dimenticherò mai. Hai presente il film European Vacation con Chevy Chase? Dove porta la famiglia in Europa e ha tutto un itinerario, ecco io sono così. E a Roma ovviamente puoi andare nei musei ma già nelle chiese hai opere di Caravaggio o grandi scultori…io ne avevo in lista una trentina. Dopo la ventisettesima mio figlio mi fa non è che potremmo vedere qualcos’altro?” Inizia così, parlando dell’Italia, la nostra conversazione con Johnny Iguana, tra i più  stimati pianisti in circolazione.  L’occasione ci è data dall’imminente uscita del suo secondo lavoro solista “At Delmark”, un coraggioso album di solo piano acustico, interamente strumentale, per l’omonima etichetta, una testimonianza della creatività di un musicista attivo da oltre trent’anni, non solo sulla scena blues. Tutti i progetti in cui è stato coinvolto, The Claudettes per esempio, sono infatti caratterizzati da una visione allargata della musica e una conoscenza approfondita, ma anche da un’ironia che affiora spesso anche nel corso dell’intervista.

Un album di piano solo non è qualcosa di comune al giorno d’oggi.

Una delle ragioni per cui l’ho fatto è che mio padre aveva questa compilation intitolata Blues Piano Orgy, su Delmark…perciò ci sono dei precedenti, una storia di incisioni di piano, ma certamente in tempi recenti non ci sono state pubblicazioni così. In special modo una volta che abbiamo deciso di farlo tutto su singole take, senza editare nulla, è una sfida perché quando suoni uno strumento per tre minuti e mezzo, a meno che non suoni con un’orchestra sinfonica, è facile ci siano almeno uno o due momenti in cui ti dici aah, come se la macchina sbandasse…sei la band e la forza trainante di tutto. La cosa buona è che, quando mi hanno chiesto di farlo, stavo suonando ed esercitandomi talmente che sono arrivato in sala e ho iniziato a suonare. La registrazione è quanto di più distante possibile da un disco prodotto, ci sono solo io che suono sul loro piano quello che suono sul mio.

Avevi una precisa lista di canzoni che volevi incidere?

Alcune delle cover sono cose che suono regolarmente dal vivo, altre sono cose su cui avevo solo iniziato a lavorare ad una mia versione. Il primo brano “Bass Key Boogie” di Little Brother Mongtomery era una che avevo sentito da poco e mi piaceva davvero. È qualcosa che mi piace  fare, quando ascolto qualcosa e non so suonarla, sono alcune ore piacevoli, stimolanti in cui me ne sto lì seduto al piano…mi ricorda di quando avevo dieci anni e avevo un registratore di cassette a quindici metri dal piano, allora ascoltavo cinque secondi di musica e correvo al piano a suonarla e così via finchè non avevo imparato l’intera canzone! Perciò il pezzo di Little Brother mi piaceva. Quella di Neil Young l’ho suonata dal vivo e mi piaceva quella versione, stessa cosa per Jay McShann. Quella degli AC/DC l’ho preparata ma credo di averla suonata dal vivo solo una volta. I pezzi originali un paio li suonavo da un po’ ma gli altri avevo iniziato da non molto a lavorarci e infatti si potrebbe quasi dire che in pratica non sono finiti, essendo così nuovi. Dopo aver saputo che avrei fatto il disco ho sistemato un paio di punti in cui non ero sicuro su come procedere.

Ha contato molto il momento.

Sì e ci sono cose che non sono finite sul disco, ho suonato molto e abbiamo tenuto le take che ci piacevano di più. I miei brani passano dall’essere molto bluesy ad avere alcuni elementi blues all’interno ma c’è anche una sorta di viaggio…alcune suonano un po’ alla David Lynch, che è mancato da poco e mi piaceva anche se a volte come dice Moe dei Simpsons, era strano per il gusto di esserlo. Preferivo Luis Bunuel, il mio regista dell’assurdo/surreale preferito. Capisco ci sia qualcuno che possa pensare, ma perché un disco di blues debba avere parti che suonano come danze gypsy attorno a un fuoco, come in “Tripping In A French Ambulance”. Altre parti suonano molto classiche…non so, mi piaceva Chopin da giovane, suonavo alcuni suoi pezzi. Mi affascina come passino da un suono potente come una tempesta e poi si ferma ed è come se avessi trovato un ruscello in mezzo a un bosco, così pacifico che riesci ad ascoltare il cinguettio degli uccelli. E poi torna la tempesta. Col tempo ho capito perché lo facesse, perché durante la scrittura in qualche modo ti ci trovi, per ragioni sconosciute. Cambi tonalità e suono ma è sempre lo stesso brano. Nel blues questo non succede spesso, forse lo si trova nel jazz, con le cose sperimentali. Probabilmente non ci sono molte cose che si potrebbero definire blues sperimentali, forse James Blood Ulmer o qualcosa del genere.

Alcune cose mi hanno ricordato James Booker.

Oh mio padre mi ha mandato una copia in DVD del documentario su James Booker! Ora che lo dici forse nel materiale promozionale avremmo dovuto inserire un riferimento. Ricordo di aver tradotto una recensione dal  finlandese del mio album del 2020 per Delmark, l’autore lo aveva detestato, diceva che le composizioni originali le avevo come vomitate. Forse era un purista. In primo luogo, ho una venerazione per Otis Spann, lo adoro…c’è gente che cerca di fare un disco e suonare così, ma sai una cosa, non ci arriveranno. Quello era Spann. Anche Pinetop. Loro erano loro stessi e tu dovresti cercare di esserlo. Se sarai te stesso le cose andranno bene, se sei onesto e non cerchi di essere qualcosa che non sei. Quelle parti che spero al pubblico piaceranno sono tutte nella mia testa. E quando le riascolto penso anche ad Henry Butler, perché Butler, probabilmente, come me suonava il piano troppo forte! E nel tempo ho anche ridotto, ero noto per rompere le corde, arrivavo ad una session e la gente diceva, “oh, no…”. Ma sono cresciuto suonando punk rock quando poi ho scoperto il blues e questo non se ne è andato del tutto, nemmeno la classica del resto.

 Ma è proprio questo a rendere la musica interessante.

Lo spero! Dipende da cosa cerca l’ascoltatore. Se riescono a spegnere la mente da critico blues possono semplicemente apprezzare la musica. Ieri sera ero curioso di vedere se ci fosse in giro qualcosa basata sull’ascolto delle copie promo e ho trovato una cosa in russo. L’ho letta e sembra molto confusa. Ma non fatico a credere che la traduzione fosse piena di errori, sembrava sostenere che quando suono la melodia, le parti tranquille, va bene e perché non attenersi a quello per il resto del disco, sembrava, ha scritto, di essere su un camion dei pompieri o qualcosa del genere…

A volte sarebbe meglio gustare la musica e spegnere il cervello, almeno per un momento.

Sì, in un mondo pieno di notizie che sembrano fatte apposta per spezzare il tuo spirito, penso la musica strumentale sia importante…mi piace da tanto tempo. Quando ho iniziato con The Claudettes eravamo solo piano e batteria. Abbiamo iniziato con l’idea di fare un disco come Otis Spann e S.P. Leary, solo piano e batteria. Ma avevamo così tanti interessi in altri tipi di musica che la cosa ha, per così dire, avvelenato il pozzo…ma abbiamo comunque deciso di mantenerlo rootsy, vicino al blues. Inevitabilmente altri suoni ci sono finiti in mezzo. E quanto alla musica strumentale, mi piace trovare i titoli e poi fare un intero concerto strumentale, sebbene sia una cosa non per tutti, è una sfida che mi piace. Il mio batterista lo chiama “blood sports” quando andiamo sul palco per un intero show solo in due, proprio perché è piuttosto intenso.

Ti diverti molto a suonare con The Claudettes, una musica eclettica che sfugge alle categorie.

Sì e in questi tempi di algoritmi e playlist di Spotify si suppone invece che tu rientri in una di queste sette categorie…se sei una band bluegrass la foto di copertina pare debba essere su un portico col banjo. Tutto spinge in una direzione. Mentre io finirò per non aver fatto nulla di tutto questo, qualcuno poteva avvisarmi, del tipo, “lo stai facendo in modo sciocco!” (ride). Si pensava ci saremmo liberati di questo ma in realtà è il contrario, ci sono più scatole virtuali.

johnny iguana

 Vedo dietro di te una foto di Junior Wells. Sul disco suoni “Messin With The Kid”. Come hai cominciato a suonare con Junior nei primi anni Novanta?

Beh, avevo finito il college ed ero al mio primo lavoro, scrivevo le quarte di copertina dei libri oppure nel caso di libri rilegati nella fascetta interna. Avevo questo lavoro e avevo una tastiera nel mio piccolo appartamento di New York, mi ero trasferito da Philadelphia e la mia band in pratica si era sciolta. Una sera sono uscito e sono andato in un bar chiamato Coyote Kates, un bar di musica country & western, dove servivano birra da boccali a forma di stivale da cowboy. Quella sera però c’era una blues jam e così suonai un po’ e venne fuori che il tizio che aveva organizzato la jam aveva suonato nella band di Junior Wells. Abbiamo anche capito che ci eravamo conosciuti quando avevo cercato di suonare con Junior una sera in un sobborgo di Philadelphia quando avevo vent’anni…non era successo ma avevo conosciuto lui e il tastierista. E mi disse, “oh sai Junior sarà in città venerdì”. Era martedì. Così andammo al concerto e non avevano ancora trovato un tastierista. Il tizio prese da parte il manager di Junior, che era suo nipote, nel camerino e gli disse, “questo ragazzo ama davvero la musica di Junior, è un buon musicista ed è venuto alla jam…” Così mi offrirono un provino alla House of Blues di Boston. Mi diedi malato al lavoro per farlo. Mi dissero, “non siamo ancora sicuri, potresti venire a suonare anche domani a Providence, Rhode Island?”. Così feci. E la mia ragazza venne a sentirci, lei sapeva quanto fosse importante per me, perché mi aveva visto suonare quando ero un teenager e il nostro set era per metà composto da pezzi di Junior Wells. A volte le canzoni della tua prima band vengono dai dischi che hai a casa. Ora c’è Spotify ma allora avevamo solo dischi e cassette…avevamo Hoodoo Man Blues, Southside Blues Jam, alcune raccolte con i primi singoli di Junior e abbiamo imparato tutte quelle canzoni. Ecco come avevamo abbastanza materiale da suonare. I Beatles avevano il Cavern e noi un bar dove suonavamo tre set di un’ora ciascuno ogni sera, quando avevo diciassette anni. Eravamo ragazzini bianchi che suonavamo in un quartiere nero di Philadelphia, ci lasciavano suonare perché capivano quanto fossimo appassionati della musica afroamericana. Mi ricordo che il cuoco ogni tanto veniva fuori dalla cucina e mi faceva il pollice in su d’approvazione. Era un periodo divertente, suonavamo alle feste…ed era gratificante ricevere complimenti a sedici anni per suonare la cosa migliore che l’America abbia mai esportato.

Di sicuro all’inizio non ero bravo, ma ero pieno di entusiasmo e sono migliorato col tempo. Quando ho incontrato Junior, cinque anni dopo, ero bravo abbastanza da ottenere l’ingaggio, conoscevo le canzoni e questo credo abbia avuto il suo peso. Ha significato molto per me. Se B.B. King mi avesse ingaggiato sarebbe stata una gran cosa, certamente, ma non avrebbe significato per quanto Junior. Ed è stato gentilissimo con me, mi dava un sacco di assolo, tanto che credo gli altri della band abbiano cominciato a risentirsi…ma mi hanno dato molti consigli. Avrebbero potuto storcere il naso ma mi dicevano, “hey, hai mai sentito parlare di beds, di tenere l’accordo? invece di suonare di continuo lungo tutta la tastiera. Otis Spann era un pianista molto presente, ma di rado lo si sente suonare accordi completi, di solito suona dai riff di complemento e sono talmente belli. È come Elmore James, nel senso che non ho mai sentito una registrazione di entrambi che non sia grande. Ma non sono vissuti a lungo, non hanno avuto modo di fare brutti dischi…ad esempio negli anni Ottanta i dischi avevano un suono che oggi non è invecchiato bene. Giù da basso ho una copia di Hoodoo Man Blues che qualcuno della band mi ha regalato per il mio compleanno, con scritto – Brian aka Johnny Iguana Happy Bithday (senza r, deve aver scritto in fretta) I love you, Junior Wells-è una delle mie cose preferite.

Quando eri nella band c’erano musicisti esperti come Joe Burton, Doug Fagan o Willie Hayes.

Oh si, sai se vedi dei filmati di quando B.B.King ha avuto successo con “The Thrill Is Gone” c’era Joe Burton come band leader. Fagan ha suonato con Screamin’ Jay Hawkins e James Cotton, Willie raccontava sempre con orgoglio che suonava con Magic Sam quando è morto. Poi ha suonato con tutti. In seguito, venni invitato a casa di Otis Rush, voleva andassi in tour con lui. Anche questo ha voluto dire molto. Era un cantante e chitarrista incredibile. Ho sempre pensato che il vibrato della sua voce corrispondesse al vibrato sulla chitarra. Così sono andato in tour con lui e ho anche registrato un album su Alligator (Good Luck Man ndt) con Carey Bell. Carey era grande e i suoi musicisti molto divertenti.

Quando è arrivato il nickname Johnny Iguana? Sul Live At Buddy Guy’s Legend di Junior sei indicato come Johnny “Fingers” Iguana, mentre il chitarrista era Stevie Lizard.

Ricordi prima quando parlavo della band ai tempi del liceo? Si chiamava Stevie Lizard & His All Reptile Orchestra. Conoscevo Stevie, il suo vero nome è John, da quando avevamo quattordici anni, frequentava un liceo vicino al mio. Avevamo sentito parlare l’uno dell’altro essendo entrambi musicisti interessati al blues e al jazz…L’ho conosciuto e mi ha chiesto di unirmi alla sua band. Mi hanno chiamato Johnny Iguana perché il bassista si chiamava Bobby Iguana e in teoria dovevo essere il fratello! Poi quando ho incontrato Junior ho rivitalizzato il nome come tributo ai giorni in cui stavo imparando il blues. Quando il posto di chitarrista si è reso disponibile Stevie ha avuto modo di provare con noi ed anzi è rimasto nel gruppo più a lungo di me. Sono rimasto tre anni, 1994/96…ero un ragazzo di ventitré anni di Philadelphia mentre gli altri erano musicisti afroamericani di grande esperienza. Col tempo molti di loro hanno lasciati e i sostituti erano ragazzi come me…sentivo che a quel punto non avevo più tanto da imparare.  Sai come la battuta di Woody Allen o Groucho Marx, “non vorrei far parte di nessun club che abbia me tra i suoi soci”. Così lasciai il gruppo e dopo circa un anno Junior si è ammalato ed è morto. Ricordo ancora quando sono andato nella stanza di Junior per dirgli che avrei finito l’anno e poi avrei lasciato la band, che non potevo stare così tanto in tour, dovevo stare più tempo a casa con mia moglie. Disse, “ok, va bene…”vedeva andare e venire così tanta gente. Dico sempre che Junior se ne è andato col cuore spezzato perché avevo lasciato il gruppo ma ovviamente non è vero. Stevie Lizard è rimasto e Albert Castiglia è arrivato dopo che me ne sono andato. La carriera di Albert va bene, ho suonato con lui lo scorso anno in Repubblica Ceca al Blues Alive Festival e ci siamo messi a parlare dei compagni del gruppo di Junior, abbiamo suonato alcune sue canzoni come “Little By  Little” e mi ha riportato indietro nel tempo.

 Dopo hai fondato gli Oh My God?

Sì, con organo, basso e batteria. Di solito dico che l’organo in quella band faceva sembrare Jon Lord un organista da chiesa! Suonavo con un Leslie e avevo anche un pedale per avere ancora più volume. Ho dovuto rimuovere una parte del Leslie, il relay, che determina i giri, perché è un pezzo di plastica e la suonava talmente forte che si scioglieva. Così mi hanno fatto una componente esterna apposita. Se ascolti quella musica l’organo è davvero forte e a volte lo prendi per una chitarra perché è quasi sempre distorto. Ma mi piaceva! Il nostro apice è durato circa quattro anni, poi il cantante si è trasferito in Arizona e nel frattempo, dato che non so stare fermo, avevo creato un’altra band, Them Vs. Them. Il mio socio in questa band era JQ, con il quale oggi lavoro alla colonna sonora della serie tv “The Bear” che qui in US è un grande successo. Lui ed io collaboriamo musicalmente da vent’anni. Come Oh My God facemmo un altro album e un tour, ma poi un brutto incidente stradale col furgone che he messo fine alla band.

È stato davvero così brutto?

Dico sempre questo: una rock band e la segretaria di una chiesa hanno un incidente, indovina chi era ubriaco? La segretaria. Era l’una di pomeriggio ed eravamo su una strada a due corsie, sulle pendici di una collina e questa donna, dopo abbiamo scoperto che era probabilmente addormentata, era nella corsia sbagliata e ci siamo scontrati a tutta velocità, circa 90 km/h. Lei è morta e due membri della band sono finiti all’ospedale in elicottero. Io non ho suonato per un anno. Il mio polso destro non era solo rotto ma dislocato, hanno dovuto staccarlo e riattaccarlo alla mano mentre ero sotto ketamina. Mi hanno messo dei chiodi nella mano per tenere insieme le ossa. Il medico, che era molto bravo, alla prima visita mi  ha fatto piangere dicendo che non poteva promettermi avrei suonato di nuovo il piano. Un incidente molto serio. Non pensavo lo avrebbe detto. L’intervento doveva durare due ore invece ce ne hanno messe cinque. Poi sono passato alla fisioterapia e non è stato divertente. Ma hanno insistito che la iniziassi subito. Per sei mesi non ho proprio mai suonato e ci è voluto un anno per riprendere…ma ce l’ho fatta. Ho lavorato molto duramente. Eravamo in Ohio quando è successo e all’inizio volevano operarmi lì ma abbiamo detto di no e mia moglie che all’epoca era incinta di quasi nove mesi è venuta prendermi in macchina da Chicago. Sono stato operato qui.

 Bello tu sia riuscito a tornare a suonare dopo un intervento così complesso.

Ci è voluto molto tempo, sono stato debole per un po’…ma dopo la terapia è fare quello che vuoi e per me era suonare il piano. Abbiamo due gatti qui a casa e da bambino ero allergico quindi non ne ho mai avuti. Ma poi mia moglie li ha presi dalla strada  qui e penso che il tuo corpo ti dica qualcosa come, vuoi continuare a lamentarti ed essere infelice o ti adatti? E la mia mano penso abbia fatto qualcosa di simile, qualcosa che non sembrava possibile. All’inizio della fisioterapia mi dicevano, “fai così, prova a toccare il pollice con tutte le altre dita”. E non ci riuscivo minimamente. Gli amici che hanno visto la mia mano…era davvero incasinata, il polso era un grosso cerchio gonfio. E nel furgone appena avuto l’incidente non sentivo alcun dolore, sapevo solo che c’era qualcosa che non andava.

Dopo aver recuperato hai preso parte a Chicago Blues Living History?

Un po’ dopo, sì, è stato come rimontare in sella. Se ripenso ad alcune cose che mi sono state offerte in quel periodo mi sembrano davvero dei regali per tutto quello che avevo passato. Lo abbiamo registrato nel 2008 e nel 2009 lo abbiamo portato in tour.

chicago bluesSei anche in altri progetti curati da Larry Skoller, il secondo volume, Muddy 100, Chicago Plays The Stones…con alcuni grandi vecchi come Billy Boy Arnold, Magic Slim o John Primer.

Sì e sono grato di aver potuto conoscere meglio Billy Boy. È venuto a casa mia almeno cinque volte, prima di registrare voleva preparare i pezzi e abbiamo avuto modo di conoscerci ed è venuto anche in tour. Poi ha pubblicato il suo libro e un giorno il mio amico Matthew Skoller mi dice, -hai visto il libro di Billy Boy? –“No, non ancora,” gli rispondo. Così mi manda una foto di una parte in cui parla dei suoi pianisti preferiti. Nomina Joshua Altheimer che suonava con Big Bill Broonzy, cita Otis Spann, David Maxwell e questo ragazzo qui a Chicago, Johnny Iguana! Ohssignore, questa finisce dritta nella sala trofei. Ho l’album che ha fatto per Alligator con Johnny Jones, un lavoro davvero affascinante, adoro Johnny Jones. Billy Boy mi ha inviato per posta alcun CD-R dei suoi album su Sonny Boy Williamson I, con alcune canzoni evidenziate che voleva io ascoltassi. L’ho presa a cuore e mi sono messo a studiarli e devi davvero impegnarti a lasciar da  parte le cose “alla Otis Spann” e tornare indietro ai tempi di Big Maceo o Blind John Davis, il loro stile è del tutto differente. Ricordo che c’era qualcosa che non riuscivo a capire allora ho chiamato il mio amico Ethan Leinwand, un pianista di St. Louis. Lui è un po’ come me, un ragazzo ebreo di Brooklyn che amava a tal punto lo stile pianistico di St. Louis che si è trasferito lì e da allora non si è spostato. Mi ha mandato un messaggio vocale ed è stato di grande aiuto. Prima avevo ascoltato più che altro il piano degli anni Cinquanta/Sessanta, ma qui bisognava tornare ai Quaranta. E Billy Boy è veloce, se suoni qualcosa  che non va bene si ferma subito! Quando abbiamo suonato a Cognac Blues Passions come Chicago Blues Living History abbiamo tenuto un concerto al castello Otard, io, Billy Boy, Billy Flynn e Kenny Smith. È stato così bello che avevamo parlato di incidere un album così, avremmo dovuto. Ora è piuttosto vecchio e durante la pandemia ha smesso di uscire di casa. Oltretutto è uno dei pochi musicisti nativi di Chicago, non è venuto dal Sud.

Larry Skoller ha prodotto anche “Chicago Spectacular!” il tuo primo album su Delmark, con molti amici, Billy Boy, John Primer, Lil’Ed…

Sì, a dire il vero non conoscevo Lil’Ed così bene, lo abbiamo chiamato perché volevo fare questo pezzo di Otis Spann, “Burnin’ Fire”, che era su Chicago The Blues Today. Lui non la conosceva ma ora fa parte del suo repertorio quando lo vedo suonare al Rosa’s. E “Shake Your Money Maker” non è esattamente un pezzo ricercato ma sapevo sarebbe venuta bene con lui. La mia idea era di riprendere al piano la parte di chitarra e avere lui che risponde alla slide. Ho fatto conoscere a Billy Boy “Hot Dog Mama” e ha fatto un po’ fatica, a questo punto conosce quello che conosce. Avere Bill Dickens al basso sugli strumentali è stata un’idea di Larry, è un bassista virtuoso, davvero funky, è venuto a casa per provare le parti di basso. Registrare il disco è stato speciale, erano tutti nel giusto spirito, appena prima del Covid…poi, come anche quello che ritenevo il miglior album di The Claudettes, è uscito nel 2020. È stato un brutto colpo. Non avevo mai investito su me stesso come in quell’anno, avevo due dischi in uscita e concerti in mezzo mondo…avevamo anche fatto un video per The Claudettes di un brano, “The Sun Will Fool You”, con disegni animati realizzati a mano, davvero bello, ci ha fatto arrivare a diversi film festival. Ma è stato tutto cancellato.

Dev’essere stata dura.

Sì ed ho persino avuto il mio primo blocco dello scrittore. Ma poi mi è passato. Penso che se in ogni casa ci fosse un piano acustico le cose andrebbero meglio. Appena abbiamo tenuto la prima call su Zoom e un bicchiere di vino ci siamo detti, facciamo un disco. E in effetti lo abbiamo realizzato durante la pandemia, registrando le nostre parti separatamente, uno per volta…la prima metà del disco l’abbiamo fatta così. La seconda invece l’abbiamo realizzata tutti nello stesso posto dal vivo.

the claudettes

the claudettes

Gli ultimi due album sono usciti su Forty Below.

Sì, loro sono più orientati al blues, ma il proprietario dell’etichetta è un amico di Ted Hutt, che ha prodotto il nostro disco, perciò in parte è grazie a questo che ha voluto pubblicarlo. Eric Corne e Ted lavorano insieme in studio a Los Angeles talvolta.

 Avete una nuova cantante nella band, Rachel Willliams.

È incredibile, abbia avuto una bella sessione di prove ieri sera, ho una carta SD proprio qui con le prove. Lei è alta oltre 1,80, texana, con una voce grossa e potente, ha studiato teatro, perciò ama vestirsi e interpretare i personaggi delle canzoni. Ha questa presenza alla Annie Lennox / David Bowie…Sul sito ci sono molti filmati dal vivo. Abbiamo abbastanza materiale per un nuovo album, ma vogliamo fare le cose per bene, qui siamo ad un nuovo livello. Come Claudettes saremo in Europa in novembre e mi piacerebbe tenere anche alcuni concerti da solo o col batterista, Michael Cuskey, l’ho fatto a Berlino l’ultima volta. Tra l’altro il primo strumento di Michael è stato il piano.

Perché ci sono così pochi giovani pianisti blues, a parte Ben Levin?

Beh, intanto non penso ci sia un bambino che vedendo suonare un tizio su una panca in un gruppo pensi: voglio essere come lui! Vuole essere al centro, cantare o suonare la chitarra. Almeno come batteria puoi rompere della roba…suonare la tastiera è come essere uno scienziato nerd. Molti genitori fanno prendere lezioni di piano ai figli, perché  va bene per il loro sviluppo…ma devo dire che suonare il piano acustico per un’ora è difficile, un bell’allenamento. E spesso non ti si sente nemmeno perché le chitarre o le armoniche sono forti, così devi suonare più forte di quanto non vorresti e non molti ce la fanno. Ho messo insieme gli Oh My God e The Claudettes perché mia madre quando veniva a vedermi suonare diceva sempre col suo accento di Boston, “Non riesco a sentire la tastiera! E la suona mio figlio!” Così ho creato band in cui suono con un ampli da 18 pollici, due speaker e il Leslie tutti messi al massimo. The Claudette sono costruiti attorno al piano. Ci sono Stevie Wonder o Elton John in termini di star che suonano la tastiera o qualcuno come Jerry Lee Lewis…Billy Boy Arnold mi diceva che il piano regnava almeno fino all’arrivo di Tampa Red. Poi non lo ha più fatto, anzi oggi non si ha nemmeno lo spazio o il budget per quello a volte. Nel jazz è diverso. Ma uno dei complimenti più belli che ho ricevuto è stato una volta dopo un soundcheck con Junior, avevo 23/24 anni e in piedi lì fuori c’era Lucky Peterson che mi ha detto, “amico, andavi alla grande”. E credimi, quando ho iniziato a suonare con Junior mi sono ascoltato le sue ultime registrazioni  e alla tastiera c’era proprio Lucky Peterson. E stava portando l’organo in nuove direzioni, mi è spiaciuto sia passato alla chitarra, all’organo era eccitante, con accenti churchy…Anche sulle Blues Cruise i pianisti sono più maturi, eccetto Eden Brent, con cui siamo diventati amici, siamo anche stati sulla stessa etichetta, la Yellow Dog, è davvero forte. È triste che Lucky se ne sia andato così presto, credo i musicisti abbiano un’aspettativa di vita più bassa…a meno di non chiamarsi Bob Stroger!


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