Ritorno sull’edizione del Trentennale del festival elvetico

Trent’anni sono tanti per qualsiasi manifestazione musicale o culturale: per dare un’idea il Festival di Blues di San Francisco ha vissuto 35 anni, quello di Chicago ha aperto i battenti nel 1984. In Europa, ci sarebbe il festival, non di solo Blues, di Notodden in Norvegia, fondato nel 1988, dove di solito si esibisce uno stuolo di musicisti norvegesi. Tutti e tre i festival menzionati si svolgono, o si svolgevano, prevalentemente in spazi aperti, dettaglio questo non secondario.

Quindi è indubbio che il Lucerne Blues Festival abbia saputo costruirsi fin dagli inizi una solidità evidente per tanti aspetti, economici, logistici e umani, oltre al rispetto verso il pubblico e gli artisti. Insomma, dietro l’impassibilità e la costanza elvetica c’è molto amore per il Blues.

L’attestato migliore resta quanto espresso da Brian Templeton, ma crediamo condiviso da molti altri, ossia l’aver fatto del festival un posto dove molti ambiscono a suonare, consapevoli dell’implicita conferma del proprio valore e soprattutto per gli emergenti, una bella occasione per farsi conoscere: è stato il caso due anni addietro per D.K. Harrell.

Il primo giorno: giovedì

Ed è toccato ad un giovane inaugurare la serata di giovedì 13 novembre, come di consueto sul palco del Grand Casino sul lungolago. Parliamo di Skyler Saufley, nemmeno trentenne, chitarrista e cantante (ma suona anche altri strumenti), accompagnato da un trio francese, il batterista Denis Agenet e Abdel B Bop come sezione ritmica, lo scorso anno accompagnavano Delanie Pickering, oltre al piano di Anita Fabiani.

Saufley, già insignito nella Alabama Hall Of Fame malgrado l’età, si dedica a sonorità classiche, un tocco di rockabilly, un passaggio alla Jimmy Reed, una rivisitazione del T-Bone Walker di “Dream Girl Blues” o ad una divertente “Stoop Down Baby” di Chick Willis, passato su quello stesso palco nel 2003. Un giovane di sicuro avvenire, strano non abbia ancora pubblicato un suo disco, ma questa data e le successive in Francia con la stessa formazione, contribuiranno a farlo conoscere maggiormente.

Kid Ramos

Kid Ramos foto Philippe Prétet

Eravamo curiosi di scoprire dal vivo l’ensemble guidato da Kid Ramos, dopo aver apprezzato “Strange Things Happening” (Nola Blue) uscito nella scorsa primavera. Ritroviamo gli stessi musicisti del disco, ossia l’eccellente batterista Stephen Hodges (James Harman, Tom Waits, Mavis Staples e dozzine di altri), Mike Turturro al basso e Dave Limina alle tastiere. Al canto la voce possente di Brian Templeton, adatta ad incarnare le virate gospel del materiale e in alcuni brani gli interventi del giovane Johnny Ramos, dotato di una voce che avrebbe fatto fortuna in un gruppo doo-wop anni Cinquanta.

Il repertorio è in buona parte quello dell’album, con cose quali “Jesus Dropped The Charges” o “How I Got Over” ma anche il recupero di pezzi dai due album dei The Proven Ones, gruppo appunto con Ramos e Templeton o un omaggio ad un amico scomparso, Willie J. Campbell, con “No More”. Solo elogi, ça va sans dire, per la chitarra di Ramos, fluida e incisiva assieme, sempre al servizio del brano ma in grado di elevarlo con i suoi passaggi solisti in equilibrio tra tensione e distensione. Finale inaspettato con la beatlesiana “Don’t Let Me Down”.

Sean _Mack_ McDonald Lucerne 2025 PRETET

Sean “Mack” McDonald Lucerne foto Philippe Prétet

Linea verde anche per il terzo gruppo della serata, una revue denominata Rosewood Soul che allineava tre chitarristi e cantanti di differente provenienza ma simile età: Stephen Hull dal Wisconsin, Xavier Shannon dal Texas e Sean “Mack” McDonald, nativo delle Georgia. Attorno a loro Damien Llanes e Michal Archer, rispettivamente batteria e chitarra oltre a  Daniel Walton (piano) e James Stiles (organo). I tre si alternano al canto e agli assolo di chitarra, si concedono anche una passeggiata tra il pubblico, suonando soprattutto brani classici quali “Caldonia” o una lunga “Let The Good Times Roll” conclusiva.

Ognuno dei tre ha occasione per mettere in mostra le sue qualità, più esuberante Hull che si illustra su una bella versione di “I’ll Play the Blues for You”, sornione e spigliato McDonald, recente titolare di un ottimo esordio, “Have Mercy!” (su Little Village), mentre Shannon, dallo stile chitarristico preciso e lineare, sembra più composto e riservato rispetto ai colleghi. Il loro set comunque fa spettacolo e diverte, rammentandoci l’ascesa di una nuova leva di validi bluesmen.

il secondo giorno: venerdì

Non può mancare il Chicago blues al festival, quest’anno rappresentato da Matthew Skoller e i suoi Chicago Wind, un gruppo che allinea veterani di grande esperienza, a partire dalla sezione ritmica, Pooky Styx (batteria) e Felton Crews (basso), passando per Tom Holland alla chitarra e Tim Gant alle tastiere. Skoller, armonicista di valore con una importante lista di collaborazioni, propone brani dai suoi dischi solisti quali “Blues Immigrant”, talvolta incisi anche da altri, è il caso di “Love Her, Don’t Shove Her”, (Carey Bell e H-Bomb Ferguson) oppure dell’ottima “Devil Ain’t Got No Music”, divenuta il titolo di un album di Lurrie Bell.

Precious Taylor

Precious Taylor Lucerne 2025 Philippe Prétet

Lo affianca al canto Precious Taylor, nipote di Koko Taylor, della quale infatti riprende oltre alla inevitabile “Wang Dang Doodle” anche “I’m A Little Mixed Up”. Con un passato in ambito jazz la Taylor dimostra buone qualità vocali, senza cercare forzature. Bella la ripresa di un pezzo di Luther “Snakeboy” Johnson, “Get Down To The Nitty Gritty”.

Si va in Texas  con la Dallas Blues & Soul Revue, gruppone con la stessa sezione ritmica e gli stessi tastieristi visti la sera prima con i tre giovani ma con l’aggiunta dei fiati, guidati da Mark “Kaz” Kazanoff, dal monumentale curriculum. Il primo a salire sul palco è lo sperimentato cantante e chitarrista Tutu Jones, affermatosi negli anni Novanta con buoni dischi su JSP e Bullseye. Jones si destreggia tra una “Have You Ever Loved A Woman” e persino “My Girl”, ma sul piu’ bello è già il momento di cedere il passo al pittoresco cantante Captain Jack Watson, per un pugno di standard, “Downhome Blues” o “Rock Me Baby”.

La staffetta prosegue infine con un terzo frazionista, il cantante Gregg A. Smith, classe 1951,  che infila a sua volta numeri di R&B di buona fattura come “I Wouldn’t Treat A Dog (The Way You Treated Me)” di Bobby Bland.

gregg smith

Gregg Smith foto Gianfranco Skala

Chiudono la serata di venerdì 14 i tedeschi B.B. & The Blues Shacks, band fondata nel 1989 e già presenti alcune volte al festival, tanto che la loro performance del 1998 è anche diventata un disco dal vivo.  La formazione a sette con una sezione fiati, vede spesso al canto il leader Andreas Arlt, in alternanza col fratello Michael all’armonica. Riuscita la loro versione di “I Can Take You To Heaven Tonight” un pezzo del repertorio di uno dei beniamini di Lucerna, il compianto Otis Clay.

Nella loro classicità propongono buoni momenti come “Blues Is A Stew” e poi accolgono come ospite il chitarrista e cantante svedese Knock Out Greg, per una manciata di brani tra cui “Workin Three Jobs”, scritta per lui da Eric Bibb.

l’ultimo giorno: sabato

Originario della parte nord dello stato di New York, ma residente a Nashville da una decina anni, il chitarrista e cantante Austin John ha aperto sabato sera al Casino, alla testa del suo trio. Sonorità anni Cinquanta tra rock’n’roll e blues, che ripercorre del resto anche in un altro progetto di cui fa parte, The Hi-jivers, con la moglie Dawna Zahn, in veste di cantante. Buon chitarrista, ricorda persino Hollywood Fats, il suo set scorre senza scossoni con qualche cover, anche una “All Your Love”, un filo lunga.

jerry portnoy

Jerry Portnoy foto Gianfranco Skala

Torna a Lucerna tre anni dopo Jerry Portnoy, armonicista ottantaduenne molto stimato, che tutti ricordano nella band di Muddy Waters negli anni Settanta e accanto ad Eric Clapton a metà Novanta, in“From The Cradle” e relativo tour.  Senza dimenticare che Portnoy, prima di Muddy Waters, ha suonato con Johnny Young, John Littlejohn e Sam Lay, nell’epoca d’oro del Blues.  Questa volta aveva con sé Rusty Zinn, chitarra e voce, l’ottimo Bruce Katz alle tastiere (Ronnie Earl, John Hammond, Gregg Allman e moltissimi altri), Jesse Williams al basso e il sempre valido figlio d’arte Kenny “Beedy Eyes” Smith, “ho suonato dodici anni con suo padre”, dirà Portnoy presentandolo.

Un suono pastoso con uno spiccato senso della melodia e una totale assenza di  virtuosismo gratuito caratterizza la sua armonica; la band gira bene, sebbene manchi forse un cantante di peso. Jerry invita Brian Templeton per un pezzo che cantava anche in un suo disco di trent’anni fa, “Home Run Hitter”, una ottima ballad intitolata, “Black Tear Drops” che Templeton confessa di non aver cantato da allora! Sempre efficace l’ironica “Charge It” e di gran classe alcuni strumentali. Portnoy ha raccontato la sua singolare traiettoria artistica nel suo memoir “Dancing With Muddy”, di recente pubblicazione.

Non c’è un gruppo zydeco quest’anno a chiudere la serata di sabato, bensì il quartetto di Vanessa Collier, cantante, sassofonista e chitarrista che avevamo già avuto modo di apprezzare qualche addietro in Ticino. Il gruppo è molto compatto e conta solide fondamenta ritmiche nel bravo batterista Byron Cage (Joe Louis Walker, Otis Taylor) e di Justice Guevara (basso). Oltre alla leader ha molto spazio la chitarra di Laura Chavez, sempre brava e versatile nel combinare parti ritmiche e soliste. Il repertorio, per la maggior parte autografo, fluttua tra generi contigui con naturale  agilità.

vanessa collier

Vanessa Collier foto Gianfranco Skala

Attinge dai suoi dischi, la canzone titolo dell’ultimo per esempio, “Do It My Own Way” o “Take Me Back”, recuperando la ritmata, divertente “Sweatin’ Like A Pig, Singin’ Like An Angel” o un paio di cover quali “I Can’t Stand The Rain” e “When Love Comes To Town” (B.B.King/U2). Vanessa canta bene, colora col sax i brani ed ha una presenza sulla scena fresca e diretta,  alla fine un set variegato e molto coinvolgente.

Segnaliamo inoltre due band esibitesi solo nel contesto del palco Casineum, ossia Chris Corcoran, chitarrista inglese molto quotato, un virtuoso con un suono originale, che fa principalmente del Swing-Jump Blues strumentale supportato da una ricca sezione di fiati, due sax e una tromba.  Quattro dischi, un EP, e un libro di tecnica chitarristica di assoli al suo attivo.  Set molto godibile che non fa sentire la mancanza di un cantante.
E Noir & Gerber sono un trio svizzero, il terzo e’ il batterista Claude Kamber, il cui pregio è la versatilita’.  Molto forti vocalmente, fanno un repertorio vario ma sempre orientato sulla musica afro-americana, anche quando cantano in francese.  Gerber ha un curriculum importante come chitarrista, Sophie Noir una voce potente e un passato gospel.  Una bella sorpresa. Ed anche per l’edizione del trentennale è tutto.

Matteo Bossi e Luca Lupoli

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