Un disco di Ry Cooder è una benedizione. Un disco live di Ry Cooder del 1972, una benedizione divina.
Uscito in occasione del Record Store Day 2025 questo “Live At The Main Point 1972” ci ripropone un’esibizione per 8/9 totalmente inedita del grande chitarrista californiano, al The Main Point di Bryn Mawr – nella Contea di Montgomery in Pennsylvania – che si è tenuta il 19 novembre 1972.
Il Main Point era una piccolissima coffee house in attività dal 1964 al 1981, particolarmente nota per la qualità del cibo, degli spettacoli e per i prezzi popolari.
Sul piccolo palco del locale sono passati tantissimi artisti, da un giovanissimo Bruce Springsteen, ai già più noti Jackson Browne e David Lindley ed, anche, Ry Peter Cooder la cui performance troviamo in questo nuovissimo album uscito dagli archivi Warner e pubblicato via Rhino in sole 3.000 copie su vinile.
Pochissime, se non nulle le note, e con il costo dei vinili di oggi e in aggiunta alla tradizionale qualità dei prodotti Rhino ci si poteva aspettare di più, ma finiscono qui le note dolenti perché quello che resta è il contenuto di un album che non può che lasciar soddisfatti i tantissimi estimatori di Ry Cooder.
L’allora venticinquenne polistrumentista aveva appena pubblicato il suo terzo album, quel “Boomer’s Story” che seguiva di pochi mesi “Into The Purple Valley”, due opere fondamentali nella carriera di questo geniale artista capace come pochi di recuperare i suoni delle tradizioni popolari statunitensi (e in futuro di tutto il mondo) dandogli nuova vita e anima.
Blues e Folk sono alla base dei primi lavori discografici di Cooder e in questo live abbiamo la possibilità (e la fortuna) di poter sentire alcuni dei brani che hanno caratterizzato la sua grande opera di ricercatore e divulgatore.
Audio non certamente perfetto, sorta di bootleg di buon livello, ma le 9 tracce meritano, eccome.
Ry Cooder – Live At The Main Point 1972
Si parte con “Police Dog Blues” di Arthur “Blind” Blake, dal primo omonimo album del 1970, con la Martin accordata in “open D” in gran bella evidenza e che influenzerà sicuramente la versione che Jorma Kaukonen ci regalerà due anni dopo nel suo “Quah”.
“Comin’ In On A Wing And A Prayer” è un brano di Jimmy McHugh e Harold Adamson che troviamo in “Boomer’s Story” che risente dell’influenza del grande chitarrista bahamense Joseph Spence, che lo stesso Cooder ha sempre definito sua grande fonte di ispirazione e che è una vera delizia per le nostre orecchie.
Imbracciato il suo mandolino Gibson F-7 ecco Cooder immergersi nel blues di Sleepy John Estes “Someday Baby Blues”, altro bluesman che ha lasciato il segno nella sua carriera.
Arriva anche la slide, di cui è maestro assoluto, e la versione di “Tattler” di Washington Phillips è molto differente da quel piccolo capolavoro che troveremo due anni dopo nell’album “Paradise And Lunch”.
Chiude il lato “A” del vinile “Vigilante Man”, ennesima canzone di protesta di Woody Guthrie, che ci conferma – se mai ce ne fosse bisogno – abilità e gusto di Cooder alla chitarra slide.
La bellissima “F.D.R. In Trinidad”, che apre la seconda facciata dell’album, era in origine un brano calypso scritto da Fritz McLean che commemorava il viaggio del Presidente Roosevelt a Trinidad nel 1936 e che Cooder ha re-interpretato sempre con un occhio di riguardo per l’originale e con la chitarra di Spence nel cuore.
Ancora Blind Blake, questa volta con la sua “Ditty Wah Ditty” che troveremo in “Paradise And Lunch”, per tornare al fingerpicking blues di classe, come solo Cooder e pochi altri sanno interpretare senza cadere in inutili tecnicismi, ma lasciando intatta la vera anima della canzone.
La lunghissima versione di “Jesus On The Mainline” è di quelle che ti fanno pensare che il paradiso possa esistere per davvero, tanto la slide di Cooder sa toccare l’anima con questo traditional che nelle sue mani diventa a dir poco miracoloso.
Tornano il mandolino e il Tennessee blues di Sleepy John Estes con la sua “Goin’ To Brownsville” a chiudere questo album, sicuramente un graditissimo regalo per gli amanti del Ry Cooder acustico e in solitaria, nonostante la cover dell’album lo veda imbracciare la sua Fender Stratocaster in uno scatto sicuramente di qualche anno dopo questa bellissima esibizione live.
Se vogliamo un’altra “pecca” per la Rhino, ma quel che conta è la musica che ci resta, e a noi va bene così.
Antonio Boschi
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