Quarto album in studio per la band canadese The Damn Truth che decide di mettere il proprio nome in copertina, come a voler sancire una dichiarazione d’identità e maturità artistica: dopo il successo di “Now Or Nowhere”, il quartetto torna con undici tracce che rappresentano un viaggio esplosivo tra le radici del rock blues e una modernità capace di osare. Fin dall’iniziale “Be Somebody” si viene travolti dalla loro energia contagiosa, con una introduzione acustica che esplode nel riff trascinante: l’invito a lasciarsi travolgere viene ripreso dalla successiva “I Just Gotta Let You Know”, esempio perfetto di come The Damn Truth sappiano fondere soul e rock’n’roll. Sia qui che altrove la voce di Lee-La Baum è un turbine di emozione, sostenuta dal basso pulsante di PY Letellier e dalla batteria martellante di Dave Traina: il chitarrista Tom Shemer regala infine fraseggi infuocati che sembrano usciti da una jam session con Jimmy Page. I riferimenti verso i Led Zeppelin sono sempre stati abbastanza espliciti, come emergono pure qui in tracce quali “Love Outta Luck” piuttosto che nel blues rock di “Mirror Mirror”, che fanno emergere il loro lato più selvaggio: fino ad arrivare poi a uno dei vertici del dischetto con “The Willow”, che parte come una ballata spirituale, cresce in intensità e si trasforma in un’epopea rock che tutti i fan zeppeliniani apprezzeranno di sicuro.
Altro piccolo capolavoro è offerto da “If I Don’t Make It Home”, una ballata intensissima, a tratti epica, dove la voce della Baum sa essere graffiante e fragile al tempo stesso, raccontando storie di amore e transitorietà con una sincerità che lascia il segno: il coro di supporto amplifica l’emozione, mentre la struttura melodica conquista fin dal primo ascolto. Anche “Better This Way” ha quella immediatezza che coinvolge, mentre la spavalderia di “All Night Long” appare quasi come un inno notturno che conferma la personalità della formazione. Che viene ribadita con sempre più forza con le energiche “Addicted” e “Killer Whale”, che conducono verso la conclusiva “The Dying Dove”: questa ha una sorta di drammaticità e profondità emotiva che quasi evoca un immaginario contesto cinematografico di cui potrebbe essere la perfetta colonna sonora. I Damn Truth si confermano come una delle migliori realtà da seguire, per il grande equilibrio con cui la loro musica si caratterizza: i ritornelli sono accattivanti ma mai banali, gli arrangiamenti presentano molteplici sfumature, oseremmo dire quasi più cuore, per un album che parla agli amanti del blues e del classic rock, con una energia straordinaria e un’autenticità che di questi tempi non guasta.
Luca Zaninello
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