Si sono già incrociati più volte, però non ci era ancora capitato di vederli in duo per un intero concerto. Parliamo di Andy J. Forest e Roberto Luti e della loro performance il primo giugno scorso all’1 e 35 Circa di Cantù.  Il loro set è stato preceduto dal giovane Maurizio Fenini, per una mezz’ora di musica acustica, tra folk e blues di ieri e di oggi. Tra “Sweet Pea” (Amos Lee), “Going Down Slow”, un omaggio a Dylan con una riuscita “Moonshiner” e il finale con “Ice Cream Man” (Tom Waits).

Foto di Antonio Tavecchia Spanò Greco

Salgono sul palco Forest e Luti, due musicisti con New Orleans nel cuore, città cui quest’anno ricorre il trecentenario della fondazione. Ci aspetta un concerto diverso che la dimensione raccolta del club rende al meglio, improntato per la prima parte sulla National di Roberto e sull’armonica di Andy. Atmosfera rilassata, dialogo strumentale spontaneo, tra le presentazioni autoironiche, come quella di “10$ Bill”, in origine era ispirata a “Brother Can You Spare a Dime”, “ma mi è uscita una cosa che somiglia a Bob Dylan”. Oppure “Bywater”, dedicata al quartiere di New Orleans dove abita. Andy ha un vasto catalogo cui attingere, lui stesso ne è consapevole, “quando ho iniziato avevo ventidue anni e suonavo canzoni di Muddy Waters o Little Walter che ne avevano venti, ora alcune mie canzoni hanno più di trent’anni. E’ strano”. Forest ha personalità e talento da narratore, espressivo all’armonica. Luti ha una capacità rara di entrare nel brano, dipinge su una tavolozza sonora con tocchi di slide, pennellate ritmiche e una scelta di coloriture sempre in sintonia col momento. Rare le cover, ricordiamo una particolare “Got My  Mojo Working”, saluto temporaneo prima di una pausa.

Foto di Antonio Tavecchia Spanò Greco

Nella seconda parte Andy, un po’ come sul suo “Word Shadows And Ghost Notes” e in effetti anche lui afferma molte di quelle canzoni sono nate alla chitarra.  Recupera dal suo passato “Motel Blue Orleans” e dedica una “I Love You More” alla moglie. Invita Francesca De Fazi per una festosa “Walking To New Orleans”, poi spazio ad una rivisitazione di “Going Up The Country Paint My Mailbox Blue” (Taj Mahal). Bellissimi i due brani finali, il primo scritto da Forest per ricordare due amici musicisti che non ci sono più, Coco Robicheaux e Kenny Holladay, dolente ed elegiaco, forse l’acme della serata. E poi, in chiusura “Pick Yourself Up”, un pezzo scritto con un collega del Madagascar (Tao Ravao) e che già con Luti eseguiva sul fortunato “Real Stories”. “Secondo Roberto questa canzone suona come un reggae romeno”, dice Andy introducendola, il pezzo è divertente e dalle atmosfere tzigane in effetti e suggella un bel concerto. Una formula da ripetere.

Matteo Bossi

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