L’immarcescibile John Mayall, classe 1933, è di nuovo in tour sulla scia del nuovo disco, “Nobody Told Me”, con diversi ospiti di nome, come di nome sono anche i tre musicisti al suo fianco. E bastano a loro stessi, come ha dimostrato anche la serata del 30 marzo, ultima delle otto previste nel nostro paese, tenutasi in una vera e propria sala da concerto, capiente e ben messa sotto ogni punto di vista, il Phenomenon di Fontanteto d’Agogna (No). Il pubblico era numeroso, soprattutto di “ex” ragazzi degli anni sessanta e settanta, da sempre appassionati, che con la sua musica sono cresciuti, trasmettendo il virus del blues e rock/blues, almeno in qualche caso, anche a figli e nipoti. Quanto a lui, Mayall, non è cambiato, sin dall’apertura delle porte alle venti è seduto al banchetto, vendendo i suoi dischi, dispensando autografi, ma poca o nulla loquacità, cosa che ripete appena sceso dal palco, al termine del concerto.

Foto di Gianfranco Skala

In apertura, come nelle altre date, c’è Francesco Piu, sempre entusiasta quando c’è da stare su di un palco, dimostrato anche in poco più di mezz’ora, da solo con chitarra acustica, a coinvolgere il pubblico con le sue versioni di “Gotta Serve Somebody”, “Trouble So Hard” e “Hold On”. Mayall sale sul palco puntuale, accanto a i fidi Jay Davenport e Greg Rzab, presenze fisse ormai da diversi anni, mentre alla chitarra c’è, dalla scorsa primavera, la texana Carolyn Wonderland, prima solista donna in una band di John, il quale conscio di chi ha accanto, perché brava e fluida con quei tratti tipici della tradizione texana, oggi funzionali per la musica del “leone di Manchester”, le lascia anche spazio in due pezzi al canto. La set list varia e questa sera si parte da “Dancing Shoes”, per poi passare a “The Moon is Full”, un tempo medio tratto dal nuovo album. Spazio ai sapori della Louisiana con “Gimme Some Of That Gumbo” o ad un altro estratto dal disco recente, “It’So Tough”, con buone dinamiche alle tastiere da parte di John, sempre ben sostenuto dalla sezione ritmica. Alterna, come sempre, tastiere, chitarra e armonica e abbozza un sorriso quando un fan si avvicina al palco per stringergli la mano, “un diversivo” dice lui senza scomporsi. Tra i momenti migliori ricordiamo “Dirty Water”, un lungo midtempo (composto da Buddy e Julie Miller), dove Mayall con la chitarra elettrica, crea un bell’intreccio con Carolyn Wonderland. Poi ecco l’omaggio a Sonny Boy Williamson II con “Help Me”, “ho suonato con lui molti anni fa”, dice Mayall introducendola, “non era un tipo facile, ma alcune sere era fantastico”.

Foto di Gianfranco Skala

Nomen Omen! Poi nel finale torna alle sue origini con “Chicago Line”, dal suo primo disco, inciso nel lontano 1964, “vendette solo cinquecento copie nei primi due anni, poi per fortuna le cose sono migliorate” dice lui, mentre per il bis ecco “Looking Back”. Mayall insomma, non si cura dell’anagrafe e continua con ciò che fa da oltre cinquantacinque anni, suonare,  divertendosi col suo gruppo, anche se è inevitabile che qualche suo passaggio vocale e strumentale non sia più smagliante. Comunque sia, la nomea di “leggenda vivente” non è in discussione.

                                                                                                       Matteo Bossi e  Silvano Brambilla

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