Archiviata la faraonica edizione numero trenta, quella del 2017, il Porretta Soul Festival, è ufficialmente entrato nel secondo trentennio. Nonostante (o magari anche grazie a) un paio di benvenuti allargamenti ad altri generi, la Soul City appenninica è tornata a far sognare le migliaia di appassionati che l’hanno invasa in occasione della trentunesima replica. La fase inaugurale, giovedì 19, si è discostata leggermente dal solco del deep soul “classico” quando l’asso del boogie woogie Mitch Woods ha dato un’incendiaria dimostrazione di che cosa è capace il pianoforte sui terreni confinanti del blues e del rock e la romagnola JBees Band ha affrontato con piglio prettamente danzereccio funk, jazz, dance/pop e disco in un tributo a “Soul Train”, la mitica trasmissione tv che sancì il dominio della black music.

Foto di Gianni Grandi

Diva della serata è stata la solare soul woman palermitana Daria Biancardi in compagnia dei collaudatissimi Groove City dell’hammondista Fabio Ziveri. A Graziano Uliani, indiscusso patron della rassegna, che almeno a parole si è sempre tenuto a distanza dal blues anche dopo aver ricevuto il Keeping the Blues Alive Award, è toccato comunque ospitare, oltre a Woods, altri campioni del genere. È stato il caso del sommo Chris Cain, il B.B. King della Bay Area, accompagnato dalla Luca Giordano Band, e dello stile down-home di Fabrizio Poggi, armonicista di statura mondiale e reduce della nomination ai Grammy, unico italiano in gara. La scelta, d’altra parte, di conferire ad Art Tipaldi, direttore della “Blues Music Magazine”, il premio 2018 della Sweet Soul Music, è un ulteriore segnale non soltanto della fragilità degli steccati che separano soul e blues ma pure la conferma, come notavamo in tempi non sospetti, che per ascoltare il migliore blues bisogna venire a un festival come questo.

Foto di Gianni Grandi

Dove il blues-con-ritmo non è mai fuori luogo. La maggior parte degli artisti ha beneficiato del supporto della house band californiana guidata da Anthony Paule, alla sua quinta stagione consecutiva. La sua Soul Orchestra è impreziosita da star dei rispettivi strumenti – come il tenorista Sax Gordon, l’organista Tony Lufrano e il batterista acrobatico Derrick “D’Mar” Martin – e, new entry di massimo interesse, dal trio vocale del veterano Larry Batiste, direttore musicale dei Grammy Awards. Molti dei cantanti che sono sfilati hanno dimostrato di poter cavalcare in perfetto equilibrio la linea di confine tra soul e blues; in particolare due diretti discepoli di Bobby Bland come il memphisiano Booker Brown, che del maestro ha ereditato brani come “I’ll Take Care Of You” e persino il cappello da yachtman in pensione, o il dallasiano Ernie Johnson, in completo rosso fuoco, berretto da baseball da cerimonia e un potente repertorio naturale (“I’m in the Mood For the Blues”) o adottivo (“Dreams To Remember”).

Foto di Gianni Grandi

Ernie è già conosciuto tra gli intenditori del Vecchio Continente, per Booker invece non solo è la prima volta in Europa, ma anche la prima che sale su un aereo! Entrambi hanno titoli da attuali reggenti della dinastia dei blues balladeers. Il settore femminile è stato dominato da personalità come la leggera e vivace Missy Andersen, newyorkese di nascita, svedese di famiglia (anche artistica: il marito è il chitarrista e produttore Heine Andersen) e ora domiciliata in New Mexico, la pensosa e solenne Terrie Odabi, creatrice del polemico “Gentrification Blues”, e l’impareggiabile Lacee, “bad girl” del Southern Soul contemporaneo e virtuale erede del canto sfrontato di Denise LaSalle, allusivo e moralista allo stesso tempo. Elastico tema principale della manifestazione è stato l’omaggio alla Goldwax, la mitica etichetta discografica memphisiana che negli anni d’oro contese alla Stax il primato del genere con portabandiera come O.V. Wright, Percy Milem, Barbara Perry, gli Ovations, James Carr, Spencer Wiggins e Wee Willie Walker.

Foto di Gianni Grandi

Gli ultimi due hanno testimoniato la loro duratura vitalità nel business; a loro si è aggiunto pure Percy Wiggins, fratello di Spencer, che incise invece per la Atlantic e la Rca. Per i tre è stato un felice ritorno, segno che l’affetto e l’accoglienza del pubblico per gli alunni della vecchia scuola sono sempre sinceri; è pur vero che, mentre Percy, che ha sfogliato amabilmente il suo “Book Of Memories”, è stato al solito gradevole ed elegante, e per Spencer gli anni stanno cominciando a farsi sentire, a scapito di una routine ancora in parte dinamica, il minuto Walker è apparso in pieno fulgore. Il merito va anche al brillante comeback architettato da Paule e da Christine Vitale, abilissima confezionatrice su misura delle canzoni contenute sull’ultimo lavoro, “After A While”. Tra trance e drammatico realismo è stato salutato il ritorno di John Ellison e di “Some Kind of Wonderful”, suo eterno hit con i Soul Brothers Six; quanto al glorioso Swamp Dogg, palesò affaticamento e un’insolita insicurezza nel dolersi del “Synthetic World” o nell’invocare “Total Destruction to Your Mind”.

Foto di Gianni Grandi

Tutti personaggi comunque sublimi, ognuno protagonista di almeno una pagina della storia della soul music più genuina, e spesso anche della sua cronaca di cui il Porretta Soul Festival si occupa fin dal 1988. Cronaca, storia e filosofia oggetto del commovente documentario di Marco Della Fonte “A Soul Journey”, proiettato in prima nazionale al teatro Testoni nei giorni della rassegna. A fronte di un contesto così elevato di talenti si fatica a indicare un vincitore in termini qualitativi; quest’anno però Don Bryant è riuscito a mettere d’accordo tutti. Con l’accompagnamento dei Bo-Keys, la band multigenerazionale guidata da Scott Bomar, e sull’onda del magnifico album “Don’t Give Up On Love”, il superbo memphisiano ha mostrato non soltanto il diretto collegamento con il Memphis sound di impronta Hi Records ma pure il suo valore assoluto.

Foto di Gianni Grandi

Ha aperto con “A Nickel And A Nail”, raggiunto il climax con “How Do I Get There?” e addirittura concluso con “I Can’t Stand The Rain”, tanto per ricordare a che famiglia appartiene. Che fosse un grande lo si era sempre intuito, anche se il suo ruolo era stato a lungo oscurato dalla figura della moglie Ann Peebles, della quale fu partner e valido co-autore. Fervore gospel e smarrimento profano, comunicativa e ispirazione, arrangiamenti antichi e sfavillante immediatezza; il suo set in sintonia di quei suonatori dal rassicurante aspetto nerd ha rubato lo spettacolo della serata di sabato. Perfidamente (non è la prima volta che accade) l’organizzazione li ha collocati in apertura, come fa il mister quando iscrive i cannonieri più forti tra i primi a battere i rigori. E dire che nei mondiali del soul di Porretta i tempi regolamentari finiscono spesso dopo le due di notte.

 

Edoardo Fassio

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